LA REPUBBLICA
- perspicillum
- 5 ago 2020
- Tempo di lettura: 12 min
Placido Domingo: "Non sono il Weinstein della lirica"
Giuseppe Videtti
5 Agosto 2020
Sembra un giorno come un altro, una riunione di famiglia nel grande salone della villa di Acapulco. Durante il nostro collegamento via Zoom, la signora Marta si muove con disinvoltura nella stanza, mentre il figlio Álvaro, seduto poco distante, il viso seminascosto dalla mascherina chirurgica, aiuta il papà con l’italiano – tutti pronti a partire per l’Europa. Plácido Domingo, 79 anni, tenore - e più recentemente baritono e direttore d’orchestra - fondatore del concorso Operalia per giovani talenti, fuoriclasse dei Tre Tenori (con Luciano Pavarotti e José Carreras), è seduto a una scrivania strategicamente posizionata al centro della stanza. Non rinuncia al ruolo di mattatore che gli è congeniale, un gladiatore della lirica condannato a un annus horribilis proprio alla soglia degli ottanta, dopo una carriera esaltante e immacolata, quando a un artista così longevo normalmente vien concesso di vivere di rendita e riposare sugli allori.
L’inferno è iniziato il 12 agosto dell’anno scorso, dopo i trionfi dei gala a Verona e Caracalla, con un articolo dell’Associated Press in cui tre donne lo accusavano di molestie, comportamenti inappropriati e abuso di potere. Nessuna denuncia a oggi depositata in tribunale, nessun procedimento penale o civile a carico di Domingo, ma il processo mediatico ha scatenato una valanga di gossip, dichiarazioni, ritrattazioni, accuse e sospetti: l’AP apre un’inchiesta; l’Opera di Los Angeles, ne apre un’altra (il 13 agosto); Domingo si dimette da General Director il 2 ottobre "per la pesante atmosfera creata dalle accuse mosse contro di me dalla stampa e per tutelare il teatro"); l’Agma, il sindacato americano che rappresenta circa ottomila cantanti d’opera, ne apre una terza, e invia almeno tre mail agli iscritti informandoli dei sospetti e invitandoli a denunciare, qualora ne avessero motivo, anche anonimamente; a partire dal 13 agosto 2019 (ventiquattr’ore dopo l’articolo di AP) l’Opera di San Francisco e la Philadelphia Orchestra sospendono la collaborazione col maestro; il ministro della cultura spagnolo, José Manuel Rodríguez Uribes, cancella la partecipazione alle recite di Luisa Fernanda al Teatro de la Zarzuela della nativa Madrid. L’Italia, come l’Austria (stasera il tenore riceverà a Salisburgo un premio alla carriera), non cancella gli spettacoli previsti da agosto a dicembre, ma ormai chiunque si sente autorizzato a straparlare nel sacro nome del #metoo, infierendo sul gigante della lirica che nel frattempo, colpito da Covid-19 (ora completamente ristabilito), vive segregato ad Acapulco ed è impossibilitato a replicare.

La soprano uruguayana Luz del Alba Rubio, una delle tre accusatrici, partecipa alla trasmissione di Radio 3 La Barcaccia senza riuscire a esprimere con chiarezza i fatti e limitandosi a una serie di allusioni. La mezzosoprano Patricia Wulf ha parlato di frasi sussurrate all’orecchio, tipo “ma davvero vuoi tornare a casa stasera?”. Un'altra mezzosoprano, Angela Turner Wilson, racconta di una mano sul seno mentre era al trucco. Lo scorso 22 luglio un gruppo 5 Stelle invia un’interrogazione al Ministro della Cultura sollecitando provvedimenti nei confronti di Domingo, Daniele Gatti e James Levine, i due direttori protagonisti di vicende analoghe ma con dinamiche completamente diverse (Franceschini risponderà in parlamento dopo il 23 agosto).
Il primo editoriale che ribadisce la totale mancanza di prove a carico di Domingo è apparso lo scorso 3 agosto sul quotidiano spagnolo El País (“Plácido davanti all’Inquisizione: chi ha condannato il cantante? La dittatura di una presunta opinione pubblica manipolata da quelli che hanno deciso di stabilire quel che è corretto e quello che non lo è”). Neanche le colleghe più illustri del tenore hanno mai parlato di comportamenti inappropriati: né la bellissima Sonya Yoncheva, vincitrice del concorso Operalia; né Renée Fleming, seducente star del Met, che in un’intervista al New York Times non fa che professare rispetto e ammirazione per Domingo; né Saioa Hernández, che si dice onorata di esibirsi col tenore il 22 agosto alla Reggia di Caserta.

"Mi sento bene dopo la grande paura del Covid. Stiamo vivendo un problema mondiale, e non sappiamo quando tutto questo finirà. Ma ringrazio Dio di essere stato curato molto bene", esordisce Domingo, spostando l’attenzione sui problemi di salute. Poi, concentrandosi con riluttanza sulla questione centrale: "Chi fa il nostro mestiere non finisce mai di studiare. La mia situazione è particolare, perché passando al registro baritonale ho dovuto affrontare ruoli totalmente inediti per me. A Bergamo, il 19 e il 26 novembre, farò Belisario, una bellissima opera, il primo ruolo donizettiano che affronto come baritono. Cosa posso aspettarmi alla mia età? Sarò in grado di lavorare per altri due anni. Forse". Ha nello sguardo la rassegnazione, il disagio e la paura di Frank Sinatra quando, ormai scalzato dal podio dalle nuove stelle della musica, tentò nel 1969 un disperato colpo di coda con quella My way che gli avrebbe garantito altri dieci anni di trionfi; ma qui non si tratta della depressione senile di una star sul viale del tramonto ma di un attacco alla moralità di un artista in piena attività.
Fa fatica, il maestro, a ripercorrere il labirinto kafkiano che in questi mesi lo ha disorientato: le dichiarazioni naïve e frettolose del 12 agosto 2019 e del 25 febbraio scorso ("Sono dispiaciuto per le sofferenze causate. Mi assumo la piena responsabilità", estrapolata da una dichiarazione ben più articolata che tra l’altro diceva: "Nessuno dovrebbe comportarsi così"), che i media hanno interpretato più come un’ammissione di colpa che come assunzione di responsabilità da galantuomo; il pasticciaccio brutto combinato dall’Agma dopo che Domingo era pronto a versare la somma di 500.000 dollari, culminato con una fuga di notizie che ha causato le dimissioni del vicepresidente, il baritono Samuel Schultz (in un documento l’avvocato dell’Agma rimprovera Schultz di aver messo a rischio la donazione), e successivamente con la rinuncia dell’artista di far parte del sindacato, nonostante la donazione al Relief Fund fosse andata a buon fine.
A conclusione delle molte inchieste, delle centinaia di migliaia di dollari spesi e dell’enorme quantità di documenti esaminati: l’Opera di Los Angeles ha dichiarato di non aver trovato evidenze che comprovassero molestie, violenze o abusi di potere; l’Agma invece ha concluso che "il signor Domingo ha indugiato in comportamenti inappropriati che vanno dal flirt alle avance, dentro e fuori il posto di lavoro. Molti dei testimoni hanno dichiarato di non essersi fatti avanti prima per timore di ritorsioni professionali" - e in effetti di nessuno di loro si conosce l’identità. Ora, dopo aver letto almeno quattrocento pagine di documenti, le uniche certezze sono: che la comunicazione da parte dei portavoce e dei legali di Domingo è stata episodica, insufficiente e a volte ambigua; che al momento nessun tribunale del mondo è titolare di un procedimento penale o civile contro Plácido Domingo; che trattandosi di accuse indirizzate a un uomo di potere, dunque al contempo amato e odiato, sarebbe opportuno prenderne le distanze a meno che un giudice o una giuria non sentenzino diversamente. Fino a quel momento, Domingo potrà essere giudicato solo dalla sua stessa coscienza.
Maestro, ha accettato di parlare con l’Italia prima che con altri paesi. Perché?
"Perché l’Italia è pronta ad abbracciarmi di nuovo, e perché l’anno scorso ho festeggiato i cinquant’anni dai debutti alla Scala e all’Arena di Verona. Come passa il tempo…canto da oltre sessant’anni".
Dopo tanti stress, anche il Coronavirus, che aggredisce i polmoni e rischia di essere particolarmente funesto per un cantante d’opera.
"Ritrovare la mia voce è stato un miracolo. Non ce l’avrei fatta se non avessi recuperato le forze dopo un periodo di grande astenia. Due, tre mesi fa non avevo ancora la certezza di tornare a cantare. L’unica cosa che mi preoccupa adesso è lasciare il mio rifugio di Acapulco, dal quale non mi muovo da mesi; non sono mai stato così tanto tempo a casa con mia moglie, mio figlio, mia nuora e i due nipotini. Devo confessarle che il lockdown non è stato così pesante, anzi lo considero un tempo straordinario, utile per riflettere sulle nostre vite, le nostre scelte, il nostro futuro e le priorità. Ora è tempo di tornare alla normalità. Normalità? Mica tanto. La nostra vita è cambiata. E come sa, per me è anche più difficile per via delle accuse che mi sono state mosse e per il processo mediatico altamente lesivo che si è innescato contro la mia persona".
Le era mai capitato nella lunga carriera di affrontare un anno così terribile, vuoi per le accuse, vuoi per il Coronavirus?
"Mai! Vede, il Covid è un flagello mondiale, è toccato a me e a molti altri, non era prevedibile né evitabile. Ma le accuse che mi sono state mosse e hanno destabilizzato me e la mia famiglia hanno fatto più male del virus. Ora non mi resta che prendere atto del fatto che per il momento non potrò cantare in alcune parti del mondo, come gli Stati Uniti e la Spagna, il mio paese. E non certo per una scelta del pubblico, che continua incessantemente a inviarmi messaggi di solidarietà. Non posso non riconoscere che ho speso gran parte della mia carriera negli Usa, ma che fare? C’est la vie!".
I comportamenti che le contestano risalgono a venti, trent’anni fa. Lei ricorda di essersi trovato in situazioni imbarazzanti con colleghe o colleghi?
"Se guardo indietro, non vedo situazioni in cui il mio comportamento possa aver lasciato ferite aperte. Ma se mi fossi accorto di aver offeso qualcuno - soprattutto una donna - avrei cercato di rimediare all’istante".
Si parla di comportamenti inappropriati e abusi, ma anche di atteggiamenti ricattatori che hanno interferito con le carriere altrui. Aveva il sentore che qualcuno nel mondo dell’opera avesse risentimento nei suoi confronti?
"Decisamente no, di forzature o ricatti non ne ho mai fatti. Chi mi conosce sa che la parola “abuso” non è nel mio vocabolario. Non ho mai ostacolato, anzi ho sempre cercato di promuovere la carriera dei giovani artisti".
In quegli anni è stato il General Director prima della Washington National Opera e poi della Los Angeles Opera. L’indagine condotta dall’Opera di Los Angeles si è conclusa con un nulla di fatto: nessuna evidenza di molestie, nessun abuso di potere, nessuna provata interferenza nelle altrui carriere. Le hanno mai porto le scuse e offerto di riprendere la collaborazione dopo le dimissioni?
"No, nonostante il fatto che il mio contributo alla crescita dell’istituzione losangelina - a partire dal 1984, quando ero Artistic Consultant, e dal 2003 come General Director - sia stato enorme. I risultati della loro indagine, che mi scagionavano completamente, sono stati ignorati dalla stampa. La mia collaborazione con l’Opera di Los Angeles è terminata con le dimissioni dopo trent’anni di lavoro. Mi restano i bei ricordi con la Compagnia che ho visto crescere, ma a questo punto, con o senza scuse, un ritorno sarebbe impensabile. Spero che, passata la bufera del Covid, riprendano il percorso che abbiamo tracciato insieme. Mi dispiace non esserci? Ovvio. E sono sicuro che se tornassi lì per una visita sarei accolto calorosamente dai miei ex collaboratori".
La Washington National Opera non ha ritenuto necessario avviare inchieste. L’allora Director of Artistic Operations, Christina Scheppelmann, che ha lavorato con lei per nove anni, ha addirittura dichiarato che le decisioni, sempre prese di comune accordo, erano comunque argomentate da motivazioni artistiche; dichiarazioni determinanti e in controtendenza ignorate dalla stampa.
"Vero. Il processo mediatico che si è innescato è stato inarrestabile".
A partire dalla seconda metà di agosto i suoi impegni in Italia saranno molteplici, e nei teatri più prestigiosi. Sembra che il nostro paese non abbia dato molto credito alle accuse che ormai da un anno le stanno rovinando la vita.
"Mi ha motivato, durante la convalescenza, il pensiero di tornare in Italia, dove evidentemente sono giudicato per quello che sono, non per come molti media hanno voluto farmi apparire".
Il Teatro de la Zarzuela di Madrid non è stato altrettanto generoso e sembra allineato con le istituzioni americane che hanno cancellato i suoi spettacoli. È stato doloroso rinunciare a una recita proprio nel palcoscenico in cui lavorò sua madre?
"Sì, molto. I miei genitori hanno dedicato la vita alla Zarzuela. C’è un palco che porta il loro nome in quel teatro e lì a maggio avrei celebrato i cinquant’anni dal mio debutto a Madrid. Rispetto le istituzioni, ma questa decisione si basa su un equivoco".
Di quale equivoco parla?
"La presunzione di innocenza nei miei confronti è crollata quando sulla stampa è arrivato il testo delle mie scuse, che era stato redatto secondo le precise richieste dell’Agma e che nelle intenzioni doveva accompagnare le conclusioni della loro indagine interna rese pubbliche il 25 febbraio, invece di essere estrapolate da Associated Press dodici ore prima (per la succitata fuga di notizie, ndr)".
Vuol dire che i risultati strillati dalla stampa non corrispondono con gli atti ufficiali dell’Agma?.
"Purtroppo no. E purtroppo la prima conseguenza è stata che nel giro di poche ore, sempre il 26 febbraio, il ministro della Cultura del mio Paese ha preso la decisione, insieme alla presidente di Inaem (Istituto nazionale arti sceniche e musica), di cancellare il mio spettacolo al Teatro de la Zarzuela di Madrid, citando fonti di stampa, senza chiedermi chiarimenti e senza aver letto gli atti ufficiali dell’Agma. Secondo loro le mie scuse erano un’implicita ammissione di colpevolezza; nessuna presunzione d’innocenza, dovevo essere allontanato".
Immagino si riferisca alle impressioni generate – come dice nella sua dichiarazione del 27 febbraio scorso – dalle scuse in alcuni articoli che parlavano delle indagini dell’Agma.
"Esattamente".
Lei aveva già chiesto scusa un anno fa. Perché sei mesi dopo le sue scuse sono state giudicate come una piena ammissione di colpevolezza?
"Perché il testo, che assomigliava a un mea culpa, si prestava moltissimo a quell’interpretazione, e soprattutto perché è stato pubblicato fuori contesto, cioè senza specificare che rientrava nelle precise richieste e nelle conclusioni dell’indagine promossa dall’Agma".
Si è parlato di una fuga di notizie…
"È vero, perché il cosiddetto “mea culpa” del 24 febbraio è stato mandato direttamente alla giornalista di Associated Press, che lo ha pubblicato ben 12 ore prima che l’Agma rendesse pubblico il risultato ufficiale. La giornalista mi accusa di abuso di potere, ma il risultato delle indagini, reso noto successivamente, non ne fa alcuna menzione. Poche ore dopo è uscito un secondo articolo del Los Angeles Times firmato da un’altra giornalista di Associated Press che ha partecipato all’inchiesta contro di me, dal titolo: “Sono dispiaciuto per le sofferenze causate. Me ne assumo la piena responsabilità”. Se ne evince un’ammissione di colpevolezza".
Così un’informazione distorta è diventata la realtà dei fatti.
"Sì, purtroppo".
In concreto l’indagine dell’Agma conclude che ci sarebbero stati comportamenti inappropriati che vanno dal flirt alle molestie dentro e fuori il posto di lavoro. Le hanno comunicato su che basi e con quali prove sono arrivati a questa conclusione?
"No, perché non ci sono prove documentali. Ci sono testimonianze rese da donne a cui era dovuto il rispetto dell’anonimato. Nella ricostruzione dei fatti mancavano dettagli che mi aiutassero a identificare chi mi accusava".
Ma il peggio doveva ancora arrivare perché nel giro di poche ore sul New York Times appare un articolo choc in cui si parla di un accordo segreto che avrebbe permesso a lei, in cambio di una donazione di 500.000 dollari, di comprare il silenzio dell’Agma, cioè di insabbiare i risultati dell’indagine. Accordo che, secondo informazioni riservate che il giornalista del New York Times dice di aver ricevuto dai vertici dell’Agma, non sarebbe stato onorato proprio a causa della rottura del patto di segretezza. Pochi giorni dopo in un’intervista a NPR (2 marzo 2020) il Vicepresidente dell’Agma, Daniel Schultz, ammette di aver volontariamente fornito queste informazioni riservate alla giornalista di Associated Press. Così alle accuse di abusi si aggiunge anche quella di corruzione. L’accordo non è mai stato firmato, dunque lei non aveva alcun obbligo (lo dice anche l’avvocatessa dell’Agma, Susan Davis, a NPR il 2 marzo 2020). Ma allora perché lei ha ugualmente pagato quella cifra?
"L’esito dell’indagine dell’Agma è stato reso pubblico il 25 febbraio 2020. Il 18 marzo 2020, profondamente amareggiato dalla strumentalizzazione che era stata fatta di ogni cosa, ho definitivamente rinunciato a essere reintegrato nel sindacato e mi sono dimesso, anche se questo vuol dire perdere la possibilità di esibirsi nei teatri statunitensi. Lo stesso giorno ho donato 500.000 dollari all’Agma Relief Fund, un’organizzazione che aiuta gli artisti in difficoltà economiche causa Covid. Questa è l’ultima cosa che ho fatto negli Stati Uniti, e sono felice che ne sia stato fatto buon uso".
Perché in tutti questi mesi è rimasto in silenzio e non ha preso una posizione netta contro la fuga di notizie e il linciaggio mediatico?
"Mi sembrava corretto per rispetto e spirito di collaborazione con le due inchieste in corso. Ho cercato di chiarire l’equivoco con un una dichiarazione due giorni dopo, ma era tardi e le mie parole sono cadute nel nulla".
Ma forse una reazione decisa da parte sua sarebbe stata più produttiva, invece si è trincerato dietro un inspiegabile silenzio, mai uno scatto d’ira, mai una dichiarazione che lasciasse intuire la sua rabbia e il suo sconcerto – neanche adesso.
"Certo che sono arrabbiato, certo che sono depresso, soprattutto perché tutta la mia famiglia è stata coinvolta; la sofferenza è enorme per tutti noi. Io ho sempre dichiarato la mia estraneità ai fatti, a volte con brevi dichiarazioni che sono state fraintese e considerate ammissioni di colpa. È una situazione tremenda".
Ora siamo qui a parlarne. Cosa è cambiato?
"Io sono cambiato, non ho più paura. Quando ho saputo di avere il Covid ho promesso a me stesso che se ne fossi uscito vivo avrei lottato per riabilitare il mio nome - io non ho mai abusato di nessuno, lo ripeterò finché vivo".
Si è chiesto perché, dopo cinquant’anni di immacolata carriera, si è scatenata contro di lei una vera e propria crociata in stile #metoo? E perché queste donne, in particolare Luz del Alba, hanno mostrato questo accanimento?
"Sì, ma non trovo una risposta. Quanto a Luz del Alba: è una vecchia conoscenza, ha partecipato al programma dei giovani cantanti della Washington National Opera fino alla fine del corso e recentemente ha anche lavorato con mio figlio Plácido. L’ultima volta che ci siamo visti è stata a fine aprile 2019 durante la mia Traviata al Metropolitan, e in quell’occasione, come al solito, mi ha espresso affetto e stima. Quando ad agosto 2019 è uscito l’articolo di Associated Press, Luz del Alba ha scritto manifestando solidarietà. Non so spiegarmi cosa sia successo in seguito".
Quanto ha danneggiato la sua carriera essere definito il Weinstein della lirica?
"Enormemente, e non penso solo alla carriera. Mi ferisce essere descritto in questo modo. Ho letto anche pesanti insulti contro di me. Chi scrive sottovaluta il male che può fare. Si parla di me come se fossi stato processato da un tribunale per precisi capi d’accusa, ma non è così. Questa ambiguità è inaccettabile, non smetterò mai di dire la verità".
Qual è la sua più grande paura in questo delicato e terribile momento della sua vita e della sua carriera?
"La diffusione del Covid, in alcuni paesi ancora così virulento, mi preoccupa più dei miei fatti personali. È una minaccia per le persone e un pericolo per il mondo dell’arte; le attività concertistiche non potranno tornare alla normalità finché non sarà disponibile un vaccino, e c’è il rischio che a un certo punto la gente non avrà più voglia di tornare a teatro".
Dalla carriera ha avuto il massimo, in Europa, in Sudamerica e negli Usa. Con i Tre Tenori ha conquistato platee sconfinate in ogni angolo del pianeta. Ha ancora un sogno da realizzare?
"Trovare la pace, sperare che tutto si risolva per il meglio e affermare la verità; vivere gli anni che mi restano accanto ai miei affetti, serenamente. So che a un certo punto dovrò rinunciare al canto, perché l’opera richiede sforzi, dedizione, studio. Ma la musica no, non l’abbandonerò. Non rinuncerò mai a Operalia, un progetto che porto avanti insieme a tutta la famiglia. E poi, diamine, potrò sempre concentrarmi sulla direzione!".
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